Nel luogo dove mercato e musei di arte contemporanea dominano, nelle gallerie alternative si rivaluta l’abilità di riprodurre la realtà
«La gente si è stancata, vuole qualcosa di nuovo». Nel campo dell’arte contemporanea di New York, quando qualcuno sente una frase del genere pensa subito al prossimo Basquiat, o magari all’erede di Jackson Pollock. Da un po’ di tempo, però, diversi addetti ai lavori con la parola novità intendono un ritorno all’arte figurativa. Senza scomodare, o insultare il Rinascimento, una riscoperta dell’arte come abilità di riprodurre la realtà, con tutte le interpretazioni che poi possono seguire. La disputa fra l’arte astratta e quella figurativa non è nuova, va avanti grosso modo da quando è stata inventata la fotografia. New York però è il luogo dove si sublima, perché in questa città il mercato domina. Pochi luoghi al mondo possono vantare tre o quattro grandi musei dedicati all’arte contemporanea, come MoMa, Guggenheim, Whitney che sta rinascendo nel nuovo edificio progettato da Renzo Piano, New Museum, e soprattutto il mare di gallerie che punteggiano Chelsea, Soho, Lower East Side, ma adesso anche Dumbo e Uptown. L’impressione è che questo enorme mercato abbia la necessità costante di riempire le sue sale e creare prodotti da vendere, a tutti i costi, che valgano o meno la pena. Così, a fronte di tante opere straordinarie, è nato anche un po’ di scetticismo.Una delle risposte è la riscoperta dell’arte figurativa. Non è una novità assoluta, perché già nel 1982 era stata fondata la New York Academy of Art, da personaggi come Andy Warhol che volevano incoraggiare il ritorno alla pittura e alla scultura rappresentativa. Un’era geologica dopo, questo movimento è ancora vivo, oppure sta rinascendo sotto nuove spoglie. Ad esempio in gallerie alternative come la Dacia del Lower East Side, dove ora sono esposti i nudi di Daniel Maidman, oppure la Cfm e la Lyons Wier di Chelsea, specializzata nel “Conceptual Realism”. Sono solo alcuni esempi, che però dimostrano l’esistenza di una tendenza. Quando entri in queste gallerie, gli artisti ti parlano come le avanguardie di un gruppo rivoluzionario, che si azzarda a sfidare l’establishment. Sottovoce, ti sussurrano che tutti sono capaci a scarabocchiare una tela come farebbe un ubriaco, inventandosi poi qualche significato, ma pochi hanno la capacità di rappresentare la realtà, estraendone invece il suo significato. Non abbiamo idea di come finirà questa storia e non pretendiamo di prendere posizione, però è giusto che in una città come New York, dedicata alla ricerca del nuovo, accada anche questo.
mcimillo
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